Relazione ScientificaRelazione Scientifica

Relazione scientifica sull’impiego di assorbenti in cotone

Dai primi istanti dopo la nascita, l’organismo umano viene ampiamente colonizzato, nei suoi vari distretti, dai microrganismi (1). Nonostante l’uniforme, qualitativamente parlando, contaminazione perinatale, ben presto ogni distretto (cute, cavità orale, intestino, vagina, etc.) sviluppa una propria caratteristica e complessa ecologia microbica che consta di ceppi e sottopopolazioni aerobie, anaerobie e microaerofiliche.

A questo riguardo, particolarmente complessa risulta essere l’ecologia microbica vaginale che sotto l’influenza di fattori sia esogeni (malattie, farmaci, abitudini, stile di vita, ecc.) che endogeni (ormoni, sviluppo, ecc.), varia periodicamente (2, 3).

Normalmente tale microflora, in condizioni di sviluppo ultimato e benessere psico-fisico, è comunque costituita da lattobacilli (essenzialmente L. acidophylus in grado di regolare il pH vaginale ma sono presenti anche ceppi come L. fermentum, L. plantarum, L. brevis, L. jensenii, L. casei, L. delbrueckii and L. salivaris), varie tipologie di difteroidi, Staphilococcus epidermidis, streptococchi di varie specie, E.coli (a provenienza intestinale), diversi ceppi di anaerobi e Candida albicans (fungo presente in vagina nel 25% degli asintomatici) (4).

Gli stati infiammatori, su base infettiva, possibili

Forti alterazioni quali-quantitative di tali ceppi e/o l’instaurarsi di altri ceppi patogeni conducono a infezioni/infiammazioni come vaginiti -infiammazione della vagina-, vulviti -infiammazione della vulva- o vulvovaginiti nelle quali entrambi i distretti risultano infiammati. Nel loro insieme tali disturbi arrivano a colpire circa 1 miliardo di donne ogni anno (5).

A seconda poi del ceppo interessato, tali infezioni/infiammazioni si distinguono in candidosi (sostenute da Candida albicans); tricomoniasi (sostenute da Trichomonas vaginalis) e, più genericamente, in vaginosi batteriche (generalmente sostenute da Gardnerella vaginalis, E. coli) nelle quali l’aumento dei batteri vaginali è causa di prurito e leucorrea ma non provoca un vero e proprio stato infiammatorio. Fattori di rischio ben noti per la vaginosi batterica sono l’impiego di detergenti a pH non acido, l’utilizzo di antibiotici che depauperano numericamente le popolazioni di acidofili, l’applicazione di diaframmi e/o sistemi intrauterini e l’avere rapporti sessuali con più partner (6).

Il PH e i lattobacilli

Come è altresì noto, un ecosistema vaginale quali-quantitativamente non alterato costituisce la più importante difesa/prevenzione nei confronti delle sopra citate vulvovaginiti. L’ecosistema vaginale è sotto il controllo di numerosi fattori. Uno dei più importanti è senza dubbio il pH. In un normale ecosistema vaginale questo parametro oscilla tra 4 e 4,5. Tale acidità è originata dalla capacità dei lattobacilli di fermentare il glicogeno ad acido lattico con produzione di idrogenioni. Ma non è soltanto la capacità fermentativa a fare dei lattobacilli elemento tanto essenziale: come stabilito di recente, infatti, la fonte primaria di glicogeno sono ancora i batteri vaginali e, solo in misura minore, l’epitelio della mucosa vaginale stessa e, quindi, il tessuto dell’ospite (7). Da un punto di vista clinico, il basso tenore di pH è fondamentale per il benessere vaginale in quanto favorisce la sopravvivenza dei lattobacilli ed ostacola la proliferazione dei patogeni (probabilmente per il basso profilo di attività enzimatica che alcuni enzimi dimostrano a pH basso); al contrario l’innalzamento dei valori di pH favorisce la proliferazione dei patogeni determinando l’insorgenza delle vaginiti (8).

Non è comunque soltanto nella capacità di produrre acido lattico a partire dalle proprie scorte di glicogeno, e quindi di modulare il pH vaginale, che risiede l’importanza dei lattobacilli. Questi sono infatti in grado di esercitare un efficace ruolo preventivo verso i patogeni anche per la loro capacità di produrre perossidi di idrogeno, sostanze simil batteriociniche, polipeptidi ad attività antimicrobica e biosurfattanti (9, 10), rivelati recentemente analizzando il fluido vaginale di numerose donatrici (11), co-responsabili, insieme al valore di pH, del benessere vaginale e delle refrattarietà che questo ambiente possiede alle infezioni. La possibilità che le popolazioni piogene che quali-quantitativamente costituiscono il normale ecosistema vaginale siano deplete o che si instauri una anomala flora patogene generando uno stato infettivo è comunque abbastanza elevata e, soprattutto in considerazione degli ormai diffusissimi fenomeni di resistenza multipla agli antibiotici, la necessità di adottare sistemi di cura/prevenzione che poggino la propria consistenza sul know-how oggi esistente sui probiotici è infatti elevatissima (5, 12).

Il ciclo mestruale

Con il termine “ciclo mestruale” si è soliti definire una sequenza di cambiamenti fisiologici e ormonali, ripetitivi con cadenza mensile tra la pubertà e la menopausa, che ha come fine ultimo la maturazione di una cellula uovo e la preparazione di un tessuto adatto al suo impianto.

Durante il ciclo mestruale aumentano le dimensioni dell’endometrio parallelamente ad un progressivo aumento di estrogeni, estradiolo, FSH e LH.

Queste variazioni ormonali inducono la maturazione e il rilascio dell’ovulo. Le cellule che precedentemente proteggevano l’ovulo si trasformano in corpo luteo il quale ha la funzione di continuare la produzione di estrogeni e progesterone nei primi tre mesi di gravidanza (in seguito questo ruolo verrà assunto dalla placenta). La mucosa uterina si inspessisce di circa 2-3 mm in seguito all’ aumentato rilascio estrogenico per garantire l’impianto dell’uovo eventualmente fecondato. Se la fecondazione non ha luogo, l’utero si libera del rivestimento determinando le cosiddette mestruazioni dove porzioni di endometrio e sangue escono dal corpo attraverso la vagina.

Il ciclo mestruale può essere diviso quindi in quattro fasi: mestruazioni, fase follicolare, ovulazione, fase luteale.

Con “eumenorrea” si intende il normale, regolare, flusso mestruale che dura per qualche giorno (solitamente 3-5 giorni). La perdita media di sangue durante le mestruazioni è di circa 35 millilitri, ma fino ad 80 ml è considerato normale anche se dopo la terza giornata. Nonostante l’eumenorrea sia un fenomeno “normale”, essa induce anemia sideropenia. Per questo motivo le donne hanno un maggiore fabbisogno di ferro rispetto agli uomini.

Nella fase follicolare del ciclo ovarico l’ipofisi rilascia quantità modeste di FSH e di LH in risposta alle stimolazioni provenienti dall’ipotalamo; in questa fase le cellule del follicolo immaturo dispongono di recettori per l’ormone FSH ma non per quelli per l’ormone LH. Le molecole di FSH inducono l’accrescimento da cinque a sette follicoli ovarici e le cellule di tale struttura in sviluppo producono estrogeni. Questi follicoli, che sono stati cresciuti per la gran parte dell’anno in un processo noto come follicogenesi, competono tra loro per il dominio. Il follicolo dominante forma un rigonfiamento vicino alla superficie dell’ovaia e diventa presto competente per l’ovulazione. Quando il follicolo è maturato, secerne abbastanza estradiolo da portare al rilascio di LH. In un ciclo medio questo rilascio di LH avviene intorno al dodicesimo giorno e può durare 48 ore. Il rilascio di LH fa maturare l’ovulo e indebolisce la parete del follicolo ovarico. Questo processo porta all’ovulazione al rilascio cioè dell’ovulo (0.5 mm di dimensione) maturo. Un ovulo non fertilizzato verrà dissolto all’interno dell’utero. Senza gravidanza il corpo luteo scompare, e il livello di progesterone crolla. Ciò determina l’inizio di un nuovo ciclo mestruale.

Reazioni infiammatorie e/o atopiche determinate dall’uso di assorbenti

La presenza del ciclo mestruale obbliga la donna all’uso dei cosiddetti assorbenti da ciclo. E’ questi sono a loro volta causa di reazioni avverse.

Spesso questi fenomeni avvengono in relazione alle variazioni stagionali di temperatura, quando aumenta la sudorazione, o in periodi di maggiore stress, quando cioè le difese immunitarie delle mucose e della pelle possono risultare ridotte in relazione ad un’eccessiva secrezione di cortisolo stress-indotta.

A causare bruciori, pruriti e arrossamenti, in questi casi, è spesso la combinazione tra il contatto prolungato dell’assorbente con la pelle e i fattori esterni prima citati. Se trascurate, queste situazioni possono evolvere in vaginiti (micotiche), vaginosi (batteriche) e in dermatiti da contatto. Questo si determina soprattutto in relazione alle sostanze impiegate nella produzione di tali assorbenti: materiali come rayon e cellulosa, di cui sono costituiti la stragrande maggioranza degli assorbenti interni ed esterni, risultano in questo senso particolarmente “aggressivi”.  L’unico modo per prevenire tali reazioni e il successivo potenziale instaurarsi di infezioni (micotiche, batteriche, protozoarie) è il ricorso ad assorbenti, meglio se esterni, di cotone purissimo, materiale verso il quale mucose e pelle non dimostrano reazione alcuna.

Vediamo il perché.

Le alternative all’uso degli assorbenti esterni

I giorni del ciclo mestruale sono spesso fonte di disagio, non solo per il dolore pelvico che spesso si associa soprattutto nel corso del primo giorno, ma anche per la gestione relativa all’igiene intima. E in questo senso la ricerca di soluzioni alternative all’uso degli assorbenti esterni è una questione di grande rilievo.

Gli assorbenti interni sono costituiti da piccoli cilindri di cotone frammisto ad altro materiale sintetico, che si introducono in vagina tramite le dita o apposito applicatore, e che possono essere estratti mediante un filo che, dopo l’inserimento, si troverà giusto al di fuori del canale vaginale.

I formati più piccoli possono essere usati senza problemi anche dalle ragazze che non hanno ancora avuto rapporti.

La praticità di questo strumento è massima soprattutto in chi fa sport e durante l’estate, quando l’assorbente tradizionale, fatto di fibra mista e sintetica, crea disagio per il sudore e l’odore del sangue mestruale. E’ comunque necessario cambiarlo ogni 4-6 ore per una buona igiene. L’uso di tamponi interni altera però la flora vaginale e tali alterazioni non sono in dipendenza della composizione (viscosa mista a cotone, rayon misto a cotone, solo cotone) del tampone stesso (14). Al tempo stesso tali alterazioni possono determinare un’aumentata incidenza di candidosi (15).

Bisogna inoltre ricordare che l’utilizzo di assorbenti interni è stata associata con la sindrome da shock tossico, un quadro raro ma potenzialmente grave. Si tratta dello sviluppo di colonie di Staphilococcus aureus, produttore di tossine, che, assorbite per via vaginale, esercitano un effetto sistemico. Il quadro clinico comprende febbre, ipotensione, rash cutaneo e se non fronteggiato, anche la morte. Si stima che il problema riguardi oggi 3 casi ogni 100.000 donne (16). Alcuni Autori hanno inoltre riferito la possibile associazione legata all’uso di assorbenti interni con lo sviluppo di endometriosi pelvica. Attualmente questa associazione non trova riscontri certi nella letteratura medica.

Esiste poi la coppetta mestruale: si tratta di una coppetta di silicone a forma di imbuto (lungo circa 4-5 cm, il diametro è intorno ai 3 cm), che viene posizionata all’interno del canale vaginale. Essa può essere svuotata e pulita periodicamente dal sangue che si raccoglie al suo interno. Lo svuotamente dovrebbe avvenire ogni 4-8 ore. La coppetta ma può essere tenuta anche durante la notte. Deve essere sterilizzata al primo utilizzo e successivamente quando viene riposta alla fine di ogni ciclo mestruale.

Esiste in due misure, da scegliere in base all’età e al fatto di aver o meno partorito. Non è ovviamente consigliata a chi non ha ancora avuto rapporti sessuali (la misura più piccola difficilmente passa attraverso un imene integro).

Non contenendo lattice può essere utilizzata da chi è allergico a quest’ultimo. Ad oggi infine non è riportato in letteratura la comparsa di sindrome da shock tossico in associazione al suo uso. Il materiale di cui si compone non è infatti assorbente e non determina crescita per S. aureus. Anche la possibile associazione tra uso di coppetta e patologia da endometriosi sembra improbabile. In caso di infezione vaginale in corso il suo uso è sconsigliato ed è bene preferire altri metodi (assorbenti esterni).

La strategia a minor rischio

Sulla base di quanto fin qui descritto, il miglior compromesso rischio-beneficio su base scientifica è il ricorso ad assorbenti esterni in pura fibra di cotone. Quest’ultimo dovrà costituire sia la pellicola esterna dell’assorbente che il cuore interno. La presenza di cotone al 100% garantisce la quasi totale non-allergenicità (definibile come ipo-allergenicità per cute e mucose), il massimo della traspirazione (che a sua volta garantisce l’assenza di un microambiente umido favorente la crescita di microrganismi) e un’appropriata capacità assorbente un flusso anche particolarmente abbondante, come quello tipico dei primi 3 giorni, che può arrivare a generare volumi di circa 150 ml.

Bibliografia

  • Reet M. et al. Transmission of mother’s microflora to the newborn at birth. Biol Neonate 1996; 69: 30-35.
  • Onderdonk AB et al., Normal vaginal microflora.In: Vulvovaginitis. M. Dekker, N.Y. 1993, 285-304.
  • Larsen B. Vaginal flora in health and disease. Clin Obstet Gynecol 1988, 158, 993-995.
  • Burton JP et al. Improved understanding of the bacterial vaginal microbiota of women before and after probiotic installation. Appl Envir Microbiol 2003, 69: 97-101.
  • Reid G. Probiotics for urogenital health. Nutr Clin Care 2002, 5(1): 3-8.
  • Holzman C et al. Factors linked to bacterial vaginosis in nonpregnant women Am J Public health, 2001, 91 (10): 1664-1670.
  • Boskey ER et al. Origin of vaginal acidity: high D/L lactate ratio is consistent with bacteria being the primary source. Hum Reprod 2001, 16(9), 1809-1813.
  • Melis GB et al. Role of Ph as a regulator of vaginal physiological enviroment. Minerva Ginecol 2000, 52(4): 111-121.
  • Boris S et al. Role played by lactobacilli in controlling the population of vaginal pathogens. Microbes Infect 2000, 2(5): 543-546.
  • Aroutcheva A et al. Defence factor of vaginal lactobacilli. Am J Obstet Gynecol 2001, 185(2): 375-379.
  • Valore EV et al. Antimicrobial components of vaginal fluid. Am J Obstet Gynecol 2002; 187(3): 561-568.
  • Andreeva PM et al. Effectiveness of current therapy of bacterial vaginosis. Int J Adolesc Med Health. 2002; 14(2): 145-148.
  • Messinis IE, Messini CI, Dafopoulos K. The role of gonadotropins in the follicular phase. Ann N Y Acad Sci. 2010 Sep;1205:5-11.
  • Onderdonk AB, Zamarchi GR, Rodriguez ML, Hirsch ML, Muñoz A, Kass EH. Qualitative assessment of vaginal microflora during use of tampons of various compositions. Appl Environ Microbiol. 1987 Dec;53(12):2779-84.
  • Janković S, Bojović D, Vukadinović D, Daglar E, Janković M, Laudanović D, Lukić V, Misković V, Potpara Z, Projović I, Cokanović V, Petrović N, Folić M, Savić V. Risk factors for recurrent vulvovaginal candidiasis. Vojnosanit Pregl. 2010 Oct;67(10):819-24.
  • Schlievert PM, Nemeth KA, Davis CC, Peterson ML, Jones BE. Staphylococcus aureus exotoxins are present in vivo in tampons. Clin Vaccine Immunol. 2010 May;17(5):722-7.

Relazione scientifica sull’impiego di assorbenti in cotone

Dai primi istanti dopo la nascita, l’organismo umano viene ampiamente colonizzato, nei suoi vari distretti, dai microrganismi (1). Nonostante l’uniforme, qualitativamente parlando, contaminazione perinatale, ben presto ogni distretto (cute, cavità orale, intestino, vagina, etc.) sviluppa una propria caratteristica e complessa ecologia microbica che consta di ceppi e sottopopolazioni aerobie, anaerobie e microaerofiliche.

A questo riguardo, particolarmente complessa risulta essere l’ecologia microbica vaginale che sotto l’influenza di fattori sia esogeni (malattie, farmaci, abitudini, stile di vita, ecc.) che endogeni (ormoni, sviluppo, ecc.), varia periodicamente (2, 3).

Normalmente tale microflora, in condizioni di sviluppo ultimato e benessere psico-fisico, è comunque costituita da lattobacilli (essenzialmente L. acidophylus in grado di regolare il pH vaginale ma sono presenti anche ceppi come L. fermentum, L. plantarum, L. brevis, L. jensenii, L. casei, L. delbrueckii and L. salivaris), varie tipologie di difteroidi, Staphilococcus epidermidis, streptococchi di varie specie, E.coli (a provenienza intestinale), diversi ceppi di anaerobi e Candida albicans (fungo presente in vagina nel 25% degli asintomatici) (4).

Gli stati infiammatori, su base infettiva, possibili

Forti alterazioni quali-quantitative di tali ceppi e/o l’instaurarsi di altri ceppi patogeni conducono a infezioni/infiammazioni come vaginiti -infiammazione della vagina-, vulviti -infiammazione della vulva- o vulvovaginiti nelle quali entrambi i distretti risultano infiammati. Nel loro insieme tali disturbi arrivano a colpire circa 1 miliardo di donne ogni anno (5).

A seconda poi del ceppo interessato, tali infezioni/infiammazioni si distinguono in candidosi (sostenute da Candida albicans); tricomoniasi (sostenute da Trichomonas vaginalis) e, più genericamente, in vaginosi batteriche (generalmente sostenute da Gardnerella vaginalis, E. coli) nelle quali l’aumento dei batteri vaginali è causa di prurito e leucorrea ma non provoca un vero e proprio stato infiammatorio. Fattori di rischio ben noti per la vaginosi batterica sono l’impiego di detergenti a pH non acido, l’utilizzo di antibiotici che depauperano numericamente le popolazioni di acidofili, l’applicazione di diaframmi e/o sistemi intrauterini e l’avere rapporti sessuali con più partner (6).

Il PH e i lattobacilli

Come è altresì noto, un ecosistema vaginale quali-quantitativamente non alterato costituisce la più importante difesa/prevenzione nei confronti delle sopra citate vulvovaginiti. L’ecosistema vaginale è sotto il controllo di numerosi fattori. Uno dei più importanti è senza dubbio il pH. In un normale ecosistema vaginale questo parametro oscilla tra 4 e 4,5. Tale acidità è originata dalla capacità dei lattobacilli di fermentare il glicogeno ad acido lattico con produzione di idrogenioni. Ma non è soltanto la capacità fermentativa a fare dei lattobacilli elemento tanto essenziale: come stabilito di recente, infatti, la fonte primaria di glicogeno sono ancora i batteri vaginali e, solo in misura minore, l’epitelio della mucosa vaginale stessa e, quindi, il tessuto dell’ospite (7). Da un punto di vista clinico, il basso tenore di pH è fondamentale per il benessere vaginale in quanto favorisce la sopravvivenza dei lattobacilli ed ostacola la proliferazione dei patogeni (probabilmente per il basso profilo di attività enzimatica che alcuni enzimi dimostrano a pH basso); al contrario l’innalzamento dei valori di pH favorisce la proliferazione dei patogeni determinando l’insorgenza delle vaginiti (8).

Non è comunque soltanto nella capacità di produrre acido lattico a partire dalle proprie scorte di glicogeno, e quindi di modulare il pH vaginale, che risiede l’importanza dei lattobacilli. Questi sono infatti in grado di esercitare un efficace ruolo preventivo verso i patogeni anche per la loro capacità di produrre perossidi di idrogeno, sostanze simil batteriociniche, polipeptidi ad attività antimicrobica e biosurfattanti (9, 10), rivelati recentemente analizzando il fluido vaginale di numerose donatrici (11), co-responsabili, insieme al valore di pH, del benessere vaginale e delle refrattarietà che questo ambiente possiede alle infezioni. La possibilità che le popolazioni piogene che quali-quantitativamente costituiscono il normale ecosistema vaginale siano deplete o che si instauri una anomala flora patogene generando uno stato infettivo è comunque abbastanza elevata e, soprattutto in considerazione degli ormai diffusissimi fenomeni di resistenza multipla agli antibiotici, la necessità di adottare sistemi di cura/prevenzione che poggino la propria consistenza sul know-how oggi esistente sui probiotici è infatti elevatissima (5, 12).

Il ciclo mestruale

Con il termine “ciclo mestruale” si è soliti definire una sequenza di cambiamenti fisiologici e ormonali, ripetitivi con cadenza mensile tra la pubertà e la menopausa, che ha come fine ultimo la maturazione di una cellula uovo e la preparazione di un tessuto adatto al suo impianto.

Durante il ciclo mestruale aumentano le dimensioni dell’endometrio parallelamente ad un progressivo aumento di estrogeni, estradiolo, FSH e LH.

Queste variazioni ormonali inducono la maturazione e il rilascio dell’ovulo. Le cellule che precedentemente proteggevano l’ovulo si trasformano in corpo luteo il quale ha la funzione di continuare la produzione di estrogeni e progesterone nei primi tre mesi di gravidanza (in seguito questo ruolo verrà assunto dalla placenta). La mucosa uterina si inspessisce di circa 2-3 mm in seguito all’ aumentato rilascio estrogenico per garantire l’impianto dell’uovo eventualmente fecondato. Se la fecondazione non ha luogo, l’utero si libera del rivestimento determinando le cosiddette mestruazioni dove porzioni di endometrio e sangue escono dal corpo attraverso la vagina.

Il ciclo mestruale può essere diviso quindi in quattro fasi: mestruazioni, fase follicolare, ovulazione, fase luteale.

Con “eumenorrea” si intende il normale, regolare, flusso mestruale che dura per qualche giorno (solitamente 3-5 giorni). La perdita media di sangue durante le mestruazioni è di circa 35 millilitri, ma fino ad 80 ml è considerato normale anche se dopo la terza giornata. Nonostante l’eumenorrea sia un fenomeno “normale”, essa induce anemia sideropenia. Per questo motivo le donne hanno un maggiore fabbisogno di ferro rispetto agli uomini.

Nella fase follicolare del ciclo ovarico l’ipofisi rilascia quantità modeste di FSH e di LH in risposta alle stimolazioni provenienti dall’ipotalamo; in questa fase le cellule del follicolo immaturo dispongono di recettori per l’ormone FSH ma non per quelli per l’ormone LH. Le molecole di FSH inducono l’accrescimento da cinque a sette follicoli ovarici e le cellule di tale struttura in sviluppo producono estrogeni. Questi follicoli, che sono stati cresciuti per la gran parte dell’anno in un processo noto come follicogenesi, competono tra loro per il dominio. Il follicolo dominante forma un rigonfiamento vicino alla superficie dell’ovaia e diventa presto competente per l’ovulazione. Quando il follicolo è maturato, secerne abbastanza estradiolo da portare al rilascio di LH. In un ciclo medio questo rilascio di LH avviene intorno al dodicesimo giorno e può durare 48 ore. Il rilascio di LH fa maturare l’ovulo e indebolisce la parete del follicolo ovarico. Questo processo porta all’ovulazione al rilascio cioè dell’ovulo (0.5 mm di dimensione) maturo. Un ovulo non fertilizzato verrà dissolto all’interno dell’utero. Senza gravidanza il corpo luteo scompare, e il livello di progesterone crolla. Ciò determina l’inizio di un nuovo ciclo mestruale.

Reazioni infiammatorie e/o atopiche determinate dall’uso di assorbenti

La presenza del ciclo mestruale obbliga la donna all’uso dei cosiddetti assorbenti da ciclo. E’ questi sono a loro volta causa di reazioni avverse.

Spesso questi fenomeni avvengono in relazione alle variazioni stagionali di temperatura, quando aumenta la sudorazione, o in periodi di maggiore stress, quando cioè le difese immunitarie delle mucose e della pelle possono risultare ridotte in relazione ad un’eccessiva secrezione di cortisolo stress-indotta.

A causare bruciori, pruriti e arrossamenti, in questi casi, è spesso la combinazione tra il contatto prolungato dell’assorbente con la pelle e i fattori esterni prima citati. Se trascurate, queste situazioni possono evolvere in vaginiti (micotiche), vaginosi (batteriche) e in dermatiti da contatto. Questo si determina soprattutto in relazione alle sostanze impiegate nella produzione di tali assorbenti: materiali come rayon e cellulosa, di cui sono costituiti la stragrande maggioranza degli assorbenti interni ed esterni, risultano in questo senso particolarmente “aggressivi”.  L’unico modo per prevenire tali reazioni e il successivo potenziale instaurarsi di infezioni (micotiche, batteriche, protozoarie) è il ricorso ad assorbenti, meglio se esterni, di cotone purissimo, materiale verso il quale mucose e pelle non dimostrano reazione alcuna.

Vediamo il perché.

Le alternative all’uso degli assorbenti esterni

I giorni del ciclo mestruale sono spesso fonte di disagio, non solo per il dolore pelvico che spesso si associa soprattutto nel corso del primo giorno, ma anche per la gestione relativa all’igiene intima. E in questo senso la ricerca di soluzioni alternative all’uso degli assorbenti esterni è una questione di grande rilievo.

Gli assorbenti interni sono costituiti da piccoli cilindri di cotone frammisto ad altro materiale sintetico, che si introducono in vagina tramite le dita o apposito applicatore, e che possono essere estratti mediante un filo che, dopo l’inserimento, si troverà giusto al di fuori del canale vaginale.

I formati più piccoli possono essere usati senza problemi anche dalle ragazze che non hanno ancora avuto rapporti.

La praticità di questo strumento è massima soprattutto in chi fa sport e durante l’estate, quando l’assorbente tradizionale, fatto di fibra mista e sintetica, crea disagio per il sudore e l’odore del sangue mestruale. E’ comunque necessario cambiarlo ogni 4-6 ore per una buona igiene. L’uso di tamponi interni altera però la flora vaginale e tali alterazioni non sono in dipendenza della composizione (viscosa mista a cotone, rayon misto a cotone, solo cotone) del tampone stesso (14). Al tempo stesso tali alterazioni possono determinare un’aumentata incidenza di candidosi (15).

Bisogna inoltre ricordare che l’utilizzo di assorbenti interni è stata associata con la sindrome da shock tossico, un quadro raro ma potenzialmente grave. Si tratta dello sviluppo di colonie di Staphilococcus aureus, produttore di tossine, che, assorbite per via vaginale, esercitano un effetto sistemico. Il quadro clinico comprende febbre, ipotensione, rash cutaneo e se non fronteggiato, anche la morte. Si stima che il problema riguardi oggi 3 casi ogni 100.000 donne (16). Alcuni Autori hanno inoltre riferito la possibile associazione legata all’uso di assorbenti interni con lo sviluppo di endometriosi pelvica. Attualmente questa associazione non trova riscontri certi nella letteratura medica.

Esiste poi la coppetta mestruale: si tratta di una coppetta di silicone a forma di imbuto (lungo circa 4-5 cm, il diametro è intorno ai 3 cm), che viene posizionata all’interno del canale vaginale. Essa può essere svuotata e pulita periodicamente dal sangue che si raccoglie al suo interno. Lo svuotamente dovrebbe avvenire ogni 4-8 ore. La coppetta ma può essere tenuta anche durante la notte. Deve essere sterilizzata al primo utilizzo e successivamente quando viene riposta alla fine di ogni ciclo mestruale.

Esiste in due misure, da scegliere in base all’età e al fatto di aver o meno partorito. Non è ovviamente consigliata a chi non ha ancora avuto rapporti sessuali (la misura più piccola difficilmente passa attraverso un imene integro).

Non contenendo lattice può essere utilizzata da chi è allergico a quest’ultimo. Ad oggi infine non è riportato in letteratura la comparsa di sindrome da shock tossico in associazione al suo uso. Il materiale di cui si compone non è infatti assorbente e non determina crescita per S. aureus. Anche la possibile associazione tra uso di coppetta e patologia da endometriosi sembra improbabile. In caso di infezione vaginale in corso il suo uso è sconsigliato ed è bene preferire altri metodi (assorbenti esterni).

La strategia a minor rischio

Sulla base di quanto fin qui descritto, il miglior compromesso rischio-beneficio su base scientifica è il ricorso ad assorbenti esterni in pura fibra di cotone. Quest’ultimo dovrà costituire sia la pellicola esterna dell’assorbente che il cuore interno. La presenza di cotone al 100% garantisce la quasi totale non-allergenicità (definibile come ipo-allergenicità per cute e mucose), il massimo della traspirazione (che a sua volta garantisce l’assenza di un microambiente umido favorente la crescita di microrganismi) e un’appropriata capacità assorbente un flusso anche particolarmente abbondante, come quello tipico dei primi 3 giorni, che può arrivare a generare volumi di circa 150 ml.

Bibliografia

  • Reet M. et al. Transmission of mother’s microflora to the newborn at birth. Biol Neonate 1996; 69: 30-35.
  • Onderdonk AB et al., Normal vaginal microflora.In: Vulvovaginitis. M. Dekker, N.Y. 1993, 285-304.
  • Larsen B. Vaginal flora in health and disease. Clin Obstet Gynecol 1988, 158, 993-995.
  • Burton JP et al. Improved understanding of the bacterial vaginal microbiota of women before and after probiotic installation. Appl Envir Microbiol 2003, 69: 97-101.
  • Reid G. Probiotics for urogenital health. Nutr Clin Care 2002, 5(1): 3-8.
  • Holzman C et al. Factors linked to bacterial vaginosis in nonpregnant women Am J Public health, 2001, 91 (10): 1664-1670.
  • Boskey ER et al. Origin of vaginal acidity: high D/L lactate ratio is consistent with bacteria being the primary source. Hum Reprod 2001, 16(9), 1809-1813.
  • Melis GB et al. Role of Ph as a regulator of vaginal physiological enviroment. Minerva Ginecol 2000, 52(4): 111-121.
  • Boris S et al. Role played by lactobacilli in controlling the population of vaginal pathogens. Microbes Infect 2000, 2(5): 543-546.
  • Aroutcheva A et al. Defence factor of vaginal lactobacilli. Am J Obstet Gynecol 2001, 185(2): 375-379.
  • Valore EV et al. Antimicrobial components of vaginal fluid. Am J Obstet Gynecol 2002; 187(3): 561-568.
  • Andreeva PM et al. Effectiveness of current therapy of bacterial vaginosis. Int J Adolesc Med Health. 2002; 14(2): 145-148.
  • Messinis IE, Messini CI, Dafopoulos K. The role of gonadotropins in the follicular phase. Ann N Y Acad Sci. 2010 Sep;1205:5-11.
  • Onderdonk AB, Zamarchi GR, Rodriguez ML, Hirsch ML, Muñoz A, Kass EH. Qualitative assessment of vaginal microflora during use of tampons of various compositions. Appl Environ Microbiol. 1987 Dec;53(12):2779-84.
  • Janković S, Bojović D, Vukadinović D, Daglar E, Janković M, Laudanović D, Lukić V, Misković V, Potpara Z, Projović I, Cokanović V, Petrović N, Folić M, Savić V. Risk factors for recurrent vulvovaginal candidiasis. Vojnosanit Pregl. 2010 Oct;67(10):819-24.
  • Schlievert PM, Nemeth KA, Davis CC, Peterson ML, Jones BE. Staphylococcus aureus exotoxins are present in vivo in tampons. Clin Vaccine Immunol. 2010 May;17(5):722-7.

Relazione scientifica sull’impiego di assorbenti in cotone

Dai primi istanti dopo la nascita, l’organismo umano viene ampiamente colonizzato, nei suoi vari distretti, dai microrganismi (1). Nonostante l’uniforme, qualitativamente parlando, contaminazione perinatale, ben presto ogni distretto (cute, cavità orale, intestino, vagina, etc.) sviluppa una propria caratteristica e complessa ecologia microbica che consta di ceppi e sottopopolazioni aerobie, anaerobie e microaerofiliche.

A questo riguardo, particolarmente complessa risulta essere l’ecologia microbica vaginale che sotto l’influenza di fattori sia esogeni (malattie, farmaci, abitudini, stile di vita, ecc.) che endogeni (ormoni, sviluppo, ecc.), varia periodicamente (2, 3).

Normalmente tale microflora, in condizioni di sviluppo ultimato e benessere psico-fisico, è comunque costituita da lattobacilli (essenzialmente L. acidophylus in grado di regolare il pH vaginale ma sono presenti anche ceppi come L. fermentum, L. plantarum, L. brevis, L. jensenii, L. casei, L. delbrueckii and L. salivaris), varie tipologie di difteroidi, Staphilococcus epidermidis, streptococchi di varie specie, E.coli (a provenienza intestinale), diversi ceppi di anaerobi e Candida albicans (fungo presente in vagina nel 25% degli asintomatici) (4).

Gli stati infiammatori, su base infettiva, possibili

Forti alterazioni quali-quantitative di tali ceppi e/o l’instaurarsi di altri ceppi patogeni conducono a infezioni/infiammazioni come vaginiti -infiammazione della vagina-, vulviti -infiammazione della vulva- o vulvovaginiti nelle quali entrambi i distretti risultano infiammati. Nel loro insieme tali disturbi arrivano a colpire circa 1 miliardo di donne ogni anno (5).

A seconda poi del ceppo interessato, tali infezioni/infiammazioni si distinguono in candidosi (sostenute da Candida albicans); tricomoniasi (sostenute da Trichomonas vaginalis) e, più genericamente, in vaginosi batteriche (generalmente sostenute da Gardnerella vaginalis, E. coli) nelle quali l’aumento dei batteri vaginali è causa di prurito e leucorrea ma non provoca un vero e proprio stato infiammatorio. Fattori di rischio ben noti per la vaginosi batterica sono l’impiego di detergenti a pH non acido, l’utilizzo di antibiotici che depauperano numericamente le popolazioni di acidofili, l’applicazione di diaframmi e/o sistemi intrauterini e l’avere rapporti sessuali con più partner (6).

Il PH e i lattobacilli

Come è altresì noto, un ecosistema vaginale quali-quantitativamente non alterato costituisce la più importante difesa/prevenzione nei confronti delle sopra citate vulvovaginiti. L’ecosistema vaginale è sotto il controllo di numerosi fattori. Uno dei più importanti è senza dubbio il pH. In un normale ecosistema vaginale questo parametro oscilla tra 4 e 4,5. Tale acidità è originata dalla capacità dei lattobacilli di fermentare il glicogeno ad acido lattico con produzione di idrogenioni. Ma non è soltanto la capacità fermentativa a fare dei lattobacilli elemento tanto essenziale: come stabilito di recente, infatti, la fonte primaria di glicogeno sono ancora i batteri vaginali e, solo in misura minore, l’epitelio della mucosa vaginale stessa e, quindi, il tessuto dell’ospite (7). Da un punto di vista clinico, il basso tenore di pH è fondamentale per il benessere vaginale in quanto favorisce la sopravvivenza dei lattobacilli ed ostacola la proliferazione dei patogeni (probabilmente per il basso profilo di attività enzimatica che alcuni enzimi dimostrano a pH basso); al contrario l’innalzamento dei valori di pH favorisce la proliferazione dei patogeni determinando l’insorgenza delle vaginiti (8).

Non è comunque soltanto nella capacità di produrre acido lattico a partire dalle proprie scorte di glicogeno, e quindi di modulare il pH vaginale, che risiede l’importanza dei lattobacilli. Questi sono infatti in grado di esercitare un efficace ruolo preventivo verso i patogeni anche per la loro capacità di produrre perossidi di idrogeno, sostanze simil batteriociniche, polipeptidi ad attività antimicrobica e biosurfattanti (9, 10), rivelati recentemente analizzando il fluido vaginale di numerose donatrici (11), co-responsabili, insieme al valore di pH, del benessere vaginale e delle refrattarietà che questo ambiente possiede alle infezioni. La possibilità che le popolazioni piogene che quali-quantitativamente costituiscono il normale ecosistema vaginale siano deplete o che si instauri una anomala flora patogene generando uno stato infettivo è comunque abbastanza elevata e, soprattutto in considerazione degli ormai diffusissimi fenomeni di resistenza multipla agli antibiotici, la necessità di adottare sistemi di cura/prevenzione che poggino la propria consistenza sul know-how oggi esistente sui probiotici è infatti elevatissima (5, 12).

Il ciclo mestruale

Con il termine “ciclo mestruale” si è soliti definire una sequenza di cambiamenti fisiologici e ormonali, ripetitivi con cadenza mensile tra la pubertà e la menopausa, che ha come fine ultimo la maturazione di una cellula uovo e la preparazione di un tessuto adatto al suo impianto.

Durante il ciclo mestruale aumentano le dimensioni dell’endometrio parallelamente ad un progressivo aumento di estrogeni, estradiolo, FSH e LH.

Queste variazioni ormonali inducono la maturazione e il rilascio dell’ovulo. Le cellule che precedentemente proteggevano l’ovulo si trasformano in corpo luteo il quale ha la funzione di continuare la produzione di estrogeni e progesterone nei primi tre mesi di gravidanza (in seguito questo ruolo verrà assunto dalla placenta). La mucosa uterina si inspessisce di circa 2-3 mm in seguito all’ aumentato rilascio estrogenico per garantire l’impianto dell’uovo eventualmente fecondato. Se la fecondazione non ha luogo, l’utero si libera del rivestimento determinando le cosiddette mestruazioni dove porzioni di endometrio e sangue escono dal corpo attraverso la vagina.

Il ciclo mestruale può essere diviso quindi in quattro fasi: mestruazioni, fase follicolare, ovulazione, fase luteale.

Con “eumenorrea” si intende il normale, regolare, flusso mestruale che dura per qualche giorno (solitamente 3-5 giorni). La perdita media di sangue durante le mestruazioni è di circa 35 millilitri, ma fino ad 80 ml è considerato normale anche se dopo la terza giornata. Nonostante l’eumenorrea sia un fenomeno “normale”, essa induce anemia sideropenia. Per questo motivo le donne hanno un maggiore fabbisogno di ferro rispetto agli uomini.

Nella fase follicolare del ciclo ovarico l’ipofisi rilascia quantità modeste di FSH e di LH in risposta alle stimolazioni provenienti dall’ipotalamo; in questa fase le cellule del follicolo immaturo dispongono di recettori per l’ormone FSH ma non per quelli per l’ormone LH. Le molecole di FSH inducono l’accrescimento da cinque a sette follicoli ovarici e le cellule di tale struttura in sviluppo producono estrogeni. Questi follicoli, che sono stati cresciuti per la gran parte dell’anno in un processo noto come follicogenesi, competono tra loro per il dominio. Il follicolo dominante forma un rigonfiamento vicino alla superficie dell’ovaia e diventa presto competente per l’ovulazione. Quando il follicolo è maturato, secerne abbastanza estradiolo da portare al rilascio di LH. In un ciclo medio questo rilascio di LH avviene intorno al dodicesimo giorno e può durare 48 ore. Il rilascio di LH fa maturare l’ovulo e indebolisce la parete del follicolo ovarico. Questo processo porta all’ovulazione al rilascio cioè dell’ovulo (0.5 mm di dimensione) maturo. Un ovulo non fertilizzato verrà dissolto all’interno dell’utero. Senza gravidanza il corpo luteo scompare, e il livello di progesterone crolla. Ciò determina l’inizio di un nuovo ciclo mestruale.

Reazioni infiammatorie e/o atopiche determinate dall’uso di assorbenti

La presenza del ciclo mestruale obbliga la donna all’uso dei cosiddetti assorbenti da ciclo. E’ questi sono a loro volta causa di reazioni avverse.

Spesso questi fenomeni avvengono in relazione alle variazioni stagionali di temperatura, quando aumenta la sudorazione, o in periodi di maggiore stress, quando cioè le difese immunitarie delle mucose e della pelle possono risultare ridotte in relazione ad un’eccessiva secrezione di cortisolo stress-indotta.

A causare bruciori, pruriti e arrossamenti, in questi casi, è spesso la combinazione tra il contatto prolungato dell’assorbente con la pelle e i fattori esterni prima citati. Se trascurate, queste situazioni possono evolvere in vaginiti (micotiche), vaginosi (batteriche) e in dermatiti da contatto. Questo si determina soprattutto in relazione alle sostanze impiegate nella produzione di tali assorbenti: materiali come rayon e cellulosa, di cui sono costituiti la stragrande maggioranza degli assorbenti interni ed esterni, risultano in questo senso particolarmente “aggressivi”.  L’unico modo per prevenire tali reazioni e il successivo potenziale instaurarsi di infezioni (micotiche, batteriche, protozoarie) è il ricorso ad assorbenti, meglio se esterni, di cotone purissimo, materiale verso il quale mucose e pelle non dimostrano reazione alcuna.

Vediamo il perché.

Le alternative all’uso degli assorbenti esterni

I giorni del ciclo mestruale sono spesso fonte di disagio, non solo per il dolore pelvico che spesso si associa soprattutto nel corso del primo giorno, ma anche per la gestione relativa all’igiene intima. E in questo senso la ricerca di soluzioni alternative all’uso degli assorbenti esterni è una questione di grande rilievo.

Gli assorbenti interni sono costituiti da piccoli cilindri di cotone frammisto ad altro materiale sintetico, che si introducono in vagina tramite le dita o apposito applicatore, e che possono essere estratti mediante un filo che, dopo l’inserimento, si troverà giusto al di fuori del canale vaginale.

I formati più piccoli possono essere usati senza problemi anche dalle ragazze che non hanno ancora avuto rapporti.

La praticità di questo strumento è massima soprattutto in chi fa sport e durante l’estate, quando l’assorbente tradizionale, fatto di fibra mista e sintetica, crea disagio per il sudore e l’odore del sangue mestruale. E’ comunque necessario cambiarlo ogni 4-6 ore per una buona igiene. L’uso di tamponi interni altera però la flora vaginale e tali alterazioni non sono in dipendenza della composizione (viscosa mista a cotone, rayon misto a cotone, solo cotone) del tampone stesso (14). Al tempo stesso tali alterazioni possono determinare un’aumentata incidenza di candidosi (15).

Bisogna inoltre ricordare che l’utilizzo di assorbenti interni è stata associata con la sindrome da shock tossico, un quadro raro ma potenzialmente grave. Si tratta dello sviluppo di colonie di Staphilococcus aureus, produttore di tossine, che, assorbite per via vaginale, esercitano un effetto sistemico. Il quadro clinico comprende febbre, ipotensione, rash cutaneo e se non fronteggiato, anche la morte. Si stima che il problema riguardi oggi 3 casi ogni 100.000 donne (16). Alcuni Autori hanno inoltre riferito la possibile associazione legata all’uso di assorbenti interni con lo sviluppo di endometriosi pelvica. Attualmente questa associazione non trova riscontri certi nella letteratura medica.

Esiste poi la coppetta mestruale: si tratta di una coppetta di silicone a forma di imbuto (lungo circa 4-5 cm, il diametro è intorno ai 3 cm), che viene posizionata all’interno del canale vaginale. Essa può essere svuotata e pulita periodicamente dal sangue che si raccoglie al suo interno. Lo svuotamente dovrebbe avvenire ogni 4-8 ore. La coppetta ma può essere tenuta anche durante la notte. Deve essere sterilizzata al primo utilizzo e successivamente quando viene riposta alla fine di ogni ciclo mestruale.

Esiste in due misure, da scegliere in base all’età e al fatto di aver o meno partorito. Non è ovviamente consigliata a chi non ha ancora avuto rapporti sessuali (la misura più piccola difficilmente passa attraverso un imene integro).

Non contenendo lattice può essere utilizzata da chi è allergico a quest’ultimo. Ad oggi infine non è riportato in letteratura la comparsa di sindrome da shock tossico in associazione al suo uso. Il materiale di cui si compone non è infatti assorbente e non determina crescita per S. aureus. Anche la possibile associazione tra uso di coppetta e patologia da endometriosi sembra improbabile. In caso di infezione vaginale in corso il suo uso è sconsigliato ed è bene preferire altri metodi (assorbenti esterni).

La strategia a minor rischio

Sulla base di quanto fin qui descritto, il miglior compromesso rischio-beneficio su base scientifica è il ricorso ad assorbenti esterni in pura fibra di cotone. Quest’ultimo dovrà costituire sia la pellicola esterna dell’assorbente che il cuore interno. La presenza di cotone al 100% garantisce la quasi totale non-allergenicità (definibile come ipo-allergenicità per cute e mucose), il massimo della traspirazione (che a sua volta garantisce l’assenza di un microambiente umido favorente la crescita di microrganismi) e un’appropriata capacità assorbente un flusso anche particolarmente abbondante, come quello tipico dei primi 3 giorni, che può arrivare a generare volumi di circa 150 ml.

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